Davide Uria “Sopravvivere a un museo d’arte contemporanea” Dieci stanze, dieci artisti, dieci sopravvivenze possibili – Una riflessione sull’arte, lo sguardo e il tempo

da | 14 Giugno 2025 | Arte, Libri, Mostre

Entrare in un museo d’arte contemporanea significa varcare la soglia di un luogo in cui ogni certezza vacilla. Qui non si trovano immagini da decifrare subito, né messaggi evidenti da consumare con rapidità. Le opere parlano un linguaggio che spiazza, che disorienta, che a volte irrita. Una bandiera che non sventola.

Un gelato gigante. Un muro con una scritta che pare urlare. Una stanza di specchi che si riflette all’infinito. Tutto sembra ambiguo, tutto sembra chiedere qualcosa che non si capisce subito.
È in questo spaesamento che comincia la vera esperienza estetica. Non nella comprensione immediata, ma nel disagio fecondo del non sapere. Davanti all’opera d’arte contemporanea lo sguardo è costretto a fermarsi, a rallentare, a uscire dalla fretta quotidiana. L’arte non consola, non offre risposte pronte: costringe a sostare nella domanda.
Sopravvivere a un museo di questo tipo non significa superare una prova di cultura o decifrare correttamente dei simboli nascosti. Significa restare lì, resistere alla tentazione di voltarsi via, di giudicare troppo in fretta, di archiviare l’esperienza come inutile o assurda.

Sopravvivere a un museo d’arte contemporanea

L’arte contemporanea chiede uno sguardo paziente, una cura antica, dimenticata, che è anche il segreto di ogni relazione autentica: ascoltare senza fretta, guardare senza pregiudizio, tollerare il vuoto di senso senza colmarlo subito.
In questo senso il museo non è solo una raccolta di oggetti, ma un esercizio esistenziale. Guardare un’opera è come guardare un volto amato, una persona sconosciuta, un gesto inatteso: occorre tempo, occorre attenzione, occorre abbandonare l’idea di capire tutto subito. Occorre restare. È un gesto raro, fragile, prezioso. Un gesto politico, oggi più che mai.
In un’epoca che addestra alla velocità, alla distrazione, all’immagine usa-e-getta, il museo propone una rivoluzione silenziosa: fermarsi. Sospendere il giudizio. Dare tempo al tempo.

Non fuggire dal non detto. Perché ciò che non si capisce subito è forse ciò che vale la pena capire davvero. Ed è ciò che, lentamente, può trasformare il nostro modo di vedere il mondo.
Le dieci stanze di questo percorso immaginario non sono semplici luoghi espositivi, ma tappe di un viaggio interiore. In ognuna si è chiamati a un esercizio diverso: guardare un simbolo fino a vederlo svuotarsi di senso e riempirsi di altro; ridere di un oggetto ingigantito fino a coglierne la malinconia segreta; lasciarsi ferire da parole gridate su un muro; sentire il tempo che passa nella presenza muta di un corpo in attesa; perdersi in uno spazio che si moltiplica all’infinito; accogliere il fastidio di una macchina inutile che si rompe; partecipare a un gesto collettivo che trasforma la realtà.
Non si esce indenni da questo viaggio. Lo sguardo cambia. Cambia la percezione del mondo. Cambia il rapporto con le cose quotidiane. Perché ciò che l’arte insegna, se la si lascia agire, non riguarda solo le opere ma ogni gesto, ogni parola, ogni incontro. Imparare a guardare un’opera difficile significa imparare a guardare anche l’altro, il diverso, l’inaspettato. Significa fare spazio, resistere all’istinto di chiudere, di spiegare, di semplificare.
Sopravvivere, in fondo, non vuol dire solo resistere a una prova esterna. Vuol dire anche imparare a vivere in modo diverso. Con più attenzione. Con più profondità. Con più pazienza. Non è un caso che la parola “cura” ritorni spesso in questo percorso: l’arte, come ogni relazione vera, richiede tempo, richiede impegno, richiede rispetto. Nulla che valga davvero si offre senza fatica.
E allora un museo d’arte contemporanea, invece di essere il luogo del non-senso, può diventare il luogo della verità. Non della verità facile, già confezionata, ma della verità che si costruisce piano, nel dialogo silenzioso tra lo sguardo e la cosa. Una verità che riguarda anche la vita, e non solo l’arte. Perché imparare a guardare è anche imparare ad essere presenti, a non fuggire da ciò che ci mette in crisi, a restare aperti al possibile.
In questo senso sopravvivere a un museo d’arte contemporanea significa, in realtà, imparare a sopravvivere al mondo di oggi. A non soccombere alla fretta, alla superficialità, alla distrazione. A difendere uno spazio di senso, di domanda, di profondità. A restare umani.

Nota:

Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di Mobmagazine.it.

L’Articolo è stato inviato da Marco Albarello sulla piattaforma del sito ufficiale di mobmagazine.it.

Articoli correlati

Pin It on Pinterest

Share This