Nel 1660-1661, Jan Vermeer dipingeva “La Veduta di Delft”, un’opera che sarebbe diventata uno dei punti di riferimento dell’arte olandese, un riflesso di luce che ancora oggi illumina i cuori degli amanti dell’arte. Secoli dopo, nel 1921, Marcel Proust, malato e quasi immobilizzato a letto, volle a tutti i costi rivedere il dipinto esposto al Museo Jeu de Paume di Parigi, come un naufrago che cerca un approdo sicuro in un mare in tempesta. L’incontro con l’opera di Vermeer fu per lo scrittore un’esperienza totalizzante, che lo portò a riflettere sull’essenza dell’arte e sul significato profondo della sua stessa opera.
Un particolare del dipinto, un piccolo scorcio di muro giallo, colpì Proust come una rivelazione fulminante, come un raggio di sole che squarcia le nubi e illumina il paesaggio dell’anima. Quel dettaglio, che sembrava racchiudere l’essenza stessa dell’arte, divenne il fulcro della sua riflessione estetica. Nella sua mente febbricitante, Proust immaginò che quel muretto giallo fosse stato dipinto con una precisione e una cura che solo un artista come Vermeer poteva raggiungere.
La scena della morte di Bergotte, il protagonista del romanzo “La prigioniera” di Marcel Proust, è un omaggio diretto a Vermeer e alla sua “Veduta di Delft”. Bergotte muore davanti al dipinto, colpito da un infarto, ma illuminato da un’ultima, definitiva consapevolezza. Le sue ultime parole, “breve scorcio di muro giallo”, sono un tributo all’arte di Vermeer e alla sua capacità di catturare l’essenza della realtà.
Ma cosa rappresenta esattamente quel “breve scorcio di muro giallo”? È il muretto con l’abbaino nella parte interna destra del dipinto, o le lunghe e pallide pareti dell’estrema destra della tela? Forse, come suggerisce Proust, è solo nella mente febbricitante dell’artista che quel dettaglio assume un significato profondo.
La riflessione di Marcel Proust sulla morte e sull’arte è un tema profondo e complesso, che attraversa tutta la sua opera “Alla ricerca del tempo perduto”. Nella scena finale del romanzo, lo scrittore riflette sulla natura dell’arte e sulla sua capacità di trascendere la morte. La morte di Bergotte non è solo la fine di una vita, ma anche la testimonianza dell’esistenza di un mondo diverso, fondato sulla bontà, lo scrupolo e il sacrificio.
E noi, lettori e amanti dell’arte, cosa possiamo imparare da questa storia? Forse che l’arte è un ponte che unisce le anime attraverso i secoli, un filo d’oro che lega le nostre esperienze e le nostre emozioni. O forse che la bellezza è un raggio di luce che può illuminare anche i momenti più bui della nostra esistenza. Qualunque sia la risposta, “La Veduta di Delft” di Vermeer e “Alla ricerca del tempo perduto” di Proust rimangono due capolavori che continuano a ispirarci e a farci riflettere sulla natura dell’arte e della vita stessa.
Stefania Lo Piparo


