Il libro: “Le donne che lottano contro il potere” di Luciano Salsi

da | 26 Novembre 2024 | Libri

ODCEC BOLOGNA, Sala Conferenze Marco Biagi, Presentazione del libro, LE DONNE CHE LOTTARONO CONTRO IL POTERE di Luciano Salsi, Editore: Rupe Mutevole – Bologna 20 novembre 2024

INTERVENTO DELL’AUTORE

Ringrazio l’ODCEC e la Fondazione dei Dottori Commercialisti di Bologna che, unitamente al Comitato Parti Opportunità e al Gruppo Arte e Cultura mia hanno dato l’opportunità di presentare il Libro “le Donne che Lottarono contro il Potere”.

Sono un Dottore Commercialista iscritto al Nostro Ordine dal 1972 e per oltre 30 anni sono stato Giudice Tributario a Bologna ed a Padova. L’idea del libro è nata durante una lezione presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, sul tema della Riforma della Giustizia Tributaria. In quella sede ho introdotto il binomio Legge e Giustizia (non nel senso della magistratura), nel concetto di Equità Universale. Per meglio chiarire tale concetto ho presentato l’Antigone di Sofocle, suscitando un inatteso interesse da parte degli studenti.

Il libro non vuole essere un’analisi dei testi classici, ma vuole portare l’accento sui temi attuali del nostro nascente secolo, trovando le risposte alle problematiche attuali, analizzando le risposte proposte dal mondo classico greco, atteso che i problemi di oggi sono quelli del V secolo AC.

I temi trattati sono:

  • Il rapporto tra Legge e Giustizia. In un evento a cui ho partecipato ieri in questa sala si trattava di Deontologia e nella determinazione dell’Equo compenso che per il professionista si deve fare riferimento a valori superiori quali la Dignità, il Rispetto e la Professionalità. Se il professionista ed il Cliente definiscono un compenso, questo, tuttavia non può mai essere inferiore all’Equo compenso. Anche se vi è il consenso tra le parti, vi è un Ordine superiore da rispettare.
  • Il rapporto tra Sensibilità Femminile e Pragmatismo maschile, che è alla base del comune vivere Civile. È di tutta evidenza che il giusto equilibrio tra Uomo e Donna non è ancora raggiunto, dato che abbiamo necessità di creare Comitati per le pari opportunità e le famose Quote Rosa.
  • Il rapporto tra Diritti individuali e diritti collettivi e con la Ragion di Stato. Come vedremo sono diritti entrambi costituzionalmente protetti ma molte volte rischiano di essere in conflitto tra di loro.

In estrema sintesi la riflessione che il libro si basa su due aspetti:

  • Il rapporto tra chi esercita il Potere e chi lo subisce
  • Il ruolo fondamentale della Donna, nella ricerca, ancora di quella parità, che, come vediamo, viene quotidianamente, violata.

Il sacrificio di Iffigenia, Francois Perrier

Musèe des Beaux-Art, Lione

ANTIGONE   da Sofocle.

Brevemente il fatto.

Il figlio più giovane di Edipo, Eteocle, esilia il fratello maggiore Polinice. Quest’ultimo attacca Tebe ma nella battaglia cruciale muoiono entrambi, uccidendosi reciprocamente. Eteocle riceve le onoranze funebri, che, invece, vengono rifiutate a Polinice. Lo zio Creonte, infatti, lo considera un traditore della città.

Saputo ciò, Antigone – sorella di Eteocle – nonostante il consiglio dell’altra sorella, più giovane, Ismene, insiste affinché il corpo del fratello venga sepolto. Si reca quindi inizialmente da lui per rendergli omaggio da sola e viene arrestata e condotta presso Creonte che la condanna per aver violato la Legge.

Creonte conferma la propria decisione ed Antigone ribadisce il concetto che oltre il bando di Creonte vi sono leggi superiori che devono essere rispettate.

Antigone si ribella alla legge umana e lancia il suo famoso appello. “Io sono nata per l’amore e non per l’odio”. E si uccide. Creonte tardivamente si rende conto di aver violato le leggi eterne, e che l’Uomo con le sue leggi, deve comunque fare riferimento alla Giustizia.

È ecco il quesito attuale, quale il comportamento di fronte ad una legge che si ritiene ingiusta? Esiste una Legge superiore a quella umana a cui poter fare riferimento. Antigone si richiama a questi valori che sono: la Pietà, la Solidarietà, l’Amore, Il Rispetto.

Questi valori sono eterni e la Legge deve piegarsi a loro. Laddove ciò non avviene Antigone ci insegna che si può, disobbedire. In realtà, come osserva il caro amico Don Padre Stefano Greco, deve prevalere il principio del Pikuach Nefesh, cioè l’idea che la salvaguardi anche solo di una vita umana debba avere la precedenza su tutto, e quindi, talvolta, anche sull’osservanza di una precetto, di una legge.

Tutto noi siamo certamente a favore di Antigone, è la nostra eroina, ma il tema va meglio analizzato. Uno dei principali esperti della Cultura Classica è Eva Cantarella che, andando contro corrente, ha scritto un libro dal significativo titolo Contro Antigone, in cui chiariva che Antigone era a Tebe e abitante della Polis, ovviamente doveva rispettare le Leggi vigenti.

Vi invito a riflettere sul gesto di Antigone. Lei non cerca di sovvertire il potere, non cerca alleati per detronizzare il re.

Non cerca consensi. La sua reazione è nel totale rispetto della Polis e della legge vigenti. L’unico contrasto e forma di ribellione non può che essere individuale: il suicidio: Io non accetto una legge ingiusta, ma essendo una legge la rispetto e come atto di ribellione posso solo offrire la mia vita.

Questi conflitti non sono solo riferibili al mondo della Grecia ma sono esistenti in ogni epoca.

La lotta per diritti fondamentali degli uomini è tuttora in corso: basta citare il Diritto all’uguaglianza della Donna, alla tutela dei minori, alla libertà del pensiero, ai servizi in tema di istruzione, sanità ed assistenza, alla uguaglianza dei diritti di tutti gli uomini, ai concetti di solidarietà. Le leggi, in regime democratico, vengono emanate dall’organo legislativo, come espressione di tale democrazia. La Giustizia viene amministrata in nome del Popolo.

E’ di questi giorni il gesto della nuova Antigone iraniana,  Ahoo Daryaei  la studentessa che sé  spogliata contro l’uso del velo in Iran : la Legge impone il velo alle donna, la Giustizia lo impedisce. Il Potere, come sempre sordo e cieco,  ha liberato la ragazza, dopo la prigionia; nei suoi confronti nessun atto di accusa, perché ritenuta” malata” e quindi incapace di intendere e di  volere. Ma il gesto della nuova Antigone è giunto fino a noi;  a noi il dovere di ricordare, diffondere e lottare per la Giustizia.

Ora possiamo affermare che nel nostro mondo contemporaneo italiano, vigente una Democrazia effettiva, le leggi vanno rispettate. E laddove le Leggi sono in contrasto con la Giustizia, il sistema democratico ha in sé la capacità di eliminare questo contrasto, in quanto sempre e comunque deve prevalere la GIUSTIZIA.

Possiamo ora meglio comprendere il gesto di Antigone ed il rapporto che di sì deve avere con il potere, protetto dalle Leggi.

Ma l’evoluzione della tutela dei diritti universali è lasciata a tutti/e le ANTIGONE del nostro tempo che cercano disperatamente di far conciliare la LEGGE e la GIUSTIZIA.Immagine che contiene dipinto, mitologia, nuvola, arte

Descrizione generata automaticamente

Antigone condannata a morte da Creonte, Giuseppe Diotti

Accademia Carrara, Bergamo (BG)

La nuova Antigone iraniana : AHOO DARYAEI

MEDEA da Apollodoro ed Euripide

Brevemente la storia

Giasone ci viene presentato con due volti profondamente diversi ma avremo modo di comprendere che, in realtà, il volto è una solo. Nelle Argonautiche, Giasone è un giovane eroe, esploratore, uccisore di draghi.

Pindaro lo descrive come un dio, con i capelli biondi che scintillano al sole e con indosso una pelle di leopardo ed in mano due lance.   Così bello che Medea se ne innamorerà a prima vista e lo aiuterà e lo seguirà, forte della sua scelta folle ed appassionata.

Terminata la fase eroica, abbiamo modo di vedere il secondo volto di Giasone. Trasferiti a Corinto emergono i conflitti con Medea. 

Due elementi fondamentali sono alla base del mutato atteggiamento di Giasone: il fatto che lei sia una straniera (meglio una barbara) che ovviamente limita la sua ascesa politica e sociale, a cui si aggiunge l’opportunità di sposare la figlia del Re di Corinto, con tutte le conseguenze positive e di opportunità connesse.

Giasone non ha dubbi e sceglie il successo ed il potere, ignora tutto il percorso che Medea sinceramente ed ingenuamente ha effettuato e, conseguentemente, lascia Medea al suo destino.

A Corinto, all’inizio, pareva andasse tutto bene, anche se le donne corinzie la guardavano con sospetto ed un poco di timore. Ma il vero cambiamento lo fa Giasone: egli aveva l’ambizione di essere re, guidare i popoli, e gestire il potere.

Particolarmente significativo il confronto tra i due. Giasone, per pura vigliaccheria, cerca di convincere Medea e di rassicurarla su un nuovo scenario conveniente per entrambi. In fondo, per la legge Greca, Medea non avrebbe mai potuto essere la moglie legittima ma avrebbe potuto vivere a palazzo, godendo di tutti i privilegi.

La tempesta dentro il cuore di Medea è devastante: lei figlia del re della ricca Colchide che aveva tradito la famiglia per puro amore e che aveva accettato di vivere, umilmente, in terra straniera, veniva invitata a mettesi da parte, anche con la sottile promessa che le sarebbe convenuto.

Dopo la cocente umiliazione, in Medea nasce il sentimento della vendetta. Analizza, progetta e realizza il suo diabolico piano, prevendo anche la via di fuga.

E compie quel gesto che non potremo mai capire: uccide i figli. Questo gesto è stato analizzato nel corso dei Secoli; può una madre, anche spinta dalla vendetta arrivare a tanto?

L’Uomo – Giasone è il potere e non può essere che dominato dai suoi punti cardinali: il dominio, la razionalità, la conservazione a tutti i costi del potere ed il compromesso per raggiungere i suoi obiettivi.

Tornato in Patria, portandosi con sé Medea, Giasone riprede la coscienza di sè stesso e del suo ruolo. Il potere non è più in pericolo ma deve essere difeso e protetto. Medea non serve in questa fase, anzi, ostacola il suo destino. Prende dominio la conservazione del Potere e quindi la necessità di eliminare ogni ostacolo al raggiungimento del proprio fine.

Medea, Anselm Feuerbach

Neue Pinakothek, Monaco di Baviera

Medea non lotta per il potere, non vuole trasformarsi in Giasone e prendere il suo posto. Rivendica, urla, il suo ruolo della parte femminile che credeva di aver trovato l’altra metà.

La violenza di Giasone è al di sopra di ogni possibilità di giustificazioni o attenuanti. La follia è che Giasone non ha violato alcuna Legge: non vi è alcun editto che gli impedisca di sposare Creusa ed ambire a diventar Re. Peraltro, vi è un editto che nega a Giasone di sposare una Straniera. La Legge è rispettata ma, rifacendomi all’analisi dui Antigone e Creonte, si può dire altrettanto della Giustizia?

Questo è il sentimento comune: di fronte allo straniero, la reazione non è di accoglimento ma di diffidenza.

La città, come nucleo originario, si deve difendere e lo straniero, comunque, viene a violare l’equilibrio della città.

Il tema dello straniero introduce il tema del “prossimo” ed è rilevante riprendere il pensiero dell’evangelista Luca (10, 29-37) nella parabola del Buon Samaritano.

Ma quegli disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.

Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione.

Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.

Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo stesso».

Nella tragica vicenda di Medea sono racchiuse tutte le contraddizioni del mondo moderno.

L’uomo è apparentemente libero e può scegliere secondo principi che egli ritiene più convenienti.  Le Leggi possono essere modificate al riguardo perché Egli (Giasone- Uomo) può permettersi tutto ciò.

Medea, la straniera, la barbara, la donna, non ha il potere per cui si deve affidare al mondo irrazionale. Non ha armi per contrastare il volere dei maschi e imprigionata è costretta ad agire in modo empio; tutto ciò per scuotere il dominio degli uomini e per fare in modo, come ella dice, che nessuna donna possa essere umiliata. Certamente per la Giustizia Umana Medea è assolutamente colpevole.

Per la Legge Medea ovviamente è colpevole, ma per la Giustizia?

Il finale della Tragedia è sorprendente. Gli Dei (la Giustizia) inviano un Carro dorato e salvano Medea dalla legge umana, Medea vola via sul carro, unitamente al corpo dei figli, impunita dagli uomini ma straziata dal dolore. Gli Dei l’anno assolta.

Ora noi uomini e donne del nostro mondo attuale, non arriveremo ai ad assolvere il gesto disperato da una madre, ma mi sento di avvicinarmi a lei con un sentimento di Pietà e di profondo rispetto.

IFIGENIA da Euripide

Brevemente la storia

La tragedia si svolge nell’accampamento greco, in Aulide, ove le navi greche sono bloccate per la mancanza di vento e non possono iniziare il viaggio verso Troia. Per risolvere il problema è stato chiesto l’intervento dell’indovino Calcante, il quale ha predetto che solo sacrificando alla Dea Artemide la figlia di Agamennone, il capo supremo.  Ifigenia, la flotta potrà salpare.

Il caso è tremendo, pur nella sua semplicità. L’interesse dei potenti della Grecia era, ovviamente, quello di partire per Troia; un esercito sterminato era pronto per tale impresa. 

Ma gli dèi chiedevano un prezzo molto alto per rendere possibile tale impresa. Il Re Supremo doveva sacrificare la propria figlia.  Sono evidenti, i dubbi e le perplessità del Padre, che, persuaso da Odisseo, scrive un messaggio alla moglie Clitennestra, per far venire in Aulide la figlia Ifigenia, prospettandole un falso matrimonio con Achille.  Subito dopo prevale il pentimento nell’animo di Agamennone e cerca di revocare l’ordine, inviando un altro messaggio. Questo secondo messaggio viene, tuttavia, intercettato dallo zio Menelao.

Clitennestra ed Ifigenia arrivano nel campo acheo e la ragazza si dichiara pronta per le nozze.

L’inganno, anche con l’intervento di Achille, viene scoperto e la madre si scaglia contro il marito. Ma Ifigenia, in modo sorprendente, decide di sacrificare la propria vita per fare in modo che la flotta greca, quindi l’interesse collettivo, possa dare inizio alla guerra di Troia.

Ifigenia si avvia alla morte. Il finale della tragedia è ancora più sorprendente: un messo arriva al campo acheo e descrive il prodigio che si è manifestato: Artemide, visto la volontà decisa di immolarsi della ragazza, nel sacrificio, la sostituisce con una cerva.

Partendo dal primo rilievo, risulta facile rammentarsi che tale dilemma si è riproposto, nella nostra storia contemporanea, nella tragica vicenda del rapimento dell’On. Aldo Moro.

Nella mattinata del 16 marzo 1989, giorno in cui, il nuovo Governo guidato da Giulio Andreotti, stava per essere presentato in Parlamento, per ottenere la fiducia, l’auto che trasportava l’On Aldo Moro fu intercettata e bloccata da un nucleo armato delle Brigate Rosse.

Dopo una prigionia di 55 giorni durante la quale le Brigate Rosse richiesero invano una scambio di prigionieri con lo Stato italiano, Moro fu sottoposto ad un “processo politico”  e fu ucciso il 9 Maggio 1989.

Ciò che preme rilevare in questa sede e che nel famoso comunicato n° 8 delle Brigate Rosse veniva proposto di scambiare la vita di Moro con alcuni terroristi in quel momento in carcere.

Ecco, quindi, lo Stato, con le sue esigenze le sue leggi ed i suoi ordinamenti posto a confronto con un’azione terroristica ed invitato a trattare con le BR.

Il dibattito in Italia fu molto articolato e le due tesi, quella delle fermezza e quella della trattativa si sono lungamente fronteggiati.

Con visione storica è bene rammentare l’intervento del Papa Paolo VI   che rivolse un drammatico appello in data 22 Aprile 1989   supplicando “in ginocchio” gli “Uomini delle Brigate Rosse” di rendere Moro alla sua famiglia, specificando tuttavia che ciò doveva avvenire” senza condizioni”.

Il mondo civile e politico si divise nelle due citate fazioni : il partico della fermezza faceva leva sul fatto che gli interessi dello Stato non potevano essere compromessi  per esigenze di tutela della libertà individuali. Il partito della trattativa puntava sul fatto che la tutela individuale è un diritto fondamentale e che su di esso si fonda proprio lo Stato.

Quindi se iniziava una trattativa, lo Stato non vedeva compromesso il proprio ruolo, riprendendo il ciato principio del Pikuach Nefesh.

La storia ci rileva che prevalse il primo orientamento: lo Stato doveva essere preservato contro ogni azione sovversiva.

Tornando alla nostra Storia mi permetto di rilevare che Il potere non ha il coraggio di dare corso alle proprie decisioni e attende che altri (gli dei) intervengano. Nessuno dei Re greci interviene e rimane la figura ferma, ma terribilmente fragile, di Agamennone che lancia uno sguardo disperato alla figlia.

La decisione viene assunta dalla figlia stessa. In lei ora, consapevole della realtà, scompare ogni dolcezza.

Il Padre ha rinunciato a quel ruolo, è solo il capo dell’esercito in attesa di partire per la conquista di Troia. La ragazza prende il centro della scena: ora è lei a stabilire cosa occorre fare.

Infine, consapevole che è lei che sceglie il suo destino e quello degli achei, abbraccia le ginocchia paterne, ed implora un ultimo sguardo, che non riceverà.

Agamennone, finalmente, nel proclamare suo amore per la figlia afferma di non avere scelta: deve assecondare la volontà dei greci che vogliono assolutamente partire per Troia, e che, in caso di rifiuto, certamente, si vendicheranno con Agamennone e la sua famiglia. Si preannuncia il famoso grido del Crociati: Dio lo vuole!

Ora i ruoli sono ben definiti. Ifigenia nello scegliere il suo sacrificio si libera definitivamente dal ruolo inferiore assegnato alle donne. L’Universo maschile dimostra tutta la sia fragilità ed assiste impotente alla decisione della ragazza.

A ben vedere Ifigenia, con il suo gesto sacrificale riesce a realizzare l’equilibrio tra quel binomio più volte richiamato: il rapporto tra Legge e Giustizia. Per la Legge il suo gesto rende possibile la partenza delle navi, per la Giustizia, questo la trasforma in una sacerdotessa della Dea e, quindi, a tutela dei principi fondamentali e sempre eterni.

Ed ecco, ancora una volta, riaffermata l’importanza per il genere umano di fare riferimento ai principi etici di solidarietà, pietà, amore e fratellanza.

La Dea Artemide, in nome di questi principi, ferma la mano che avrebbe stroncato la vita di Ifigenia.

Gli Uomini ed il genere umano devono imparare a comprendere quei valori che debbono rappresentare il modello di vita e finalmente far riconciliare la Legge con la Giustizia, il potere razionale con quello irrazionale.

Ma l’intervento provvidenziale della Dea Artemide che ferma la mano omicida e sostituisce Ifigenia con una cerva vuole rimarcare che esiste una volontà suprema, che comunque domina il mondo e richiama l’Antico Testamento, all’episodio di Abramo ed Isacco (Genesi 22: 2- 14).

Nel caso di Abramo egli accetta di sacrificare il proprio Figlio ma è lo stesso Dio che ferma la mano omicida.

Da una parte la guerra di Troia, con i suoi innegabili vantaggi economici, di prestigio e di potere, dall’altra parte, il sole, che rappresenta la vita di ogni essere umano e che non può esser oscurato.

Ecco la risposta di Ifigenia: il sacrificio.

Questa è la sua scelta.

Nessun Re acheo si è proposto in sua difesa, non il Padre, non lo zio ma nemmeno Achille.

A ben e veder Ifigenia non fa un gesto di resa e di sottomissione. Ma rivendica la sua autonomia e la sua fermezza d’animo.

È lei che decide, è che sceglie di immolarsi.

Il suo grido finale Io offro il mio corpo all’Ellade è un forte definitivo atto di accusa verso il Potere, verso le scelte razionali, verso le ingiustizie e le violazioni dei principi universali.

La storia, la dolorosa storia potrebbe finire con il sacrificio di Ifigenia. Ma Euripide e la coscienza collettiva non potevano accettare questi finali. Non era ancora tempo in cui gli Uomini decidevano secondo o loro desidero.

La Giustizia dei valori universali non poteva accettare il sacrificio di Ifigenia.

Sacrificio di Iffigenia, Giambattista Tiepolo

Castello di Weimar, Germania

CONSIDERAZIONI FINALI

Percorrendo le storie che abbiamo narrato sorge spontanea l’individuazione di un filo conduttore comune: il contrasto tra il Potere e chi lo subisce e lo scontro tra l’animo maschile e l’animo femminile.

A ben vedere questi due conflitti tendono ad uniformarsi in quanto la storia ci insegna che, solitamente, è l’Uomo che esercita il Potere ed è la Donna che lo subisce.

Ma l’originalità di questo conflitto sta nella considerazione che la Donna non intende sostituirsi al potere, non intende prendere il posto dell’Uomo.

La Donna vuole solo proporre un valore di vita, accanto all’uomo, con piena parità di diritti e di doveri, per un cammino condiviso e congiunto.

Ho voluto identificare scontro con il contrasto tra Legge e Giustizia.

La prima, identificata con l’Uomo-Potere, tende ad individuare e realizzare il bene comune adeguandolo alla realtà: le leggi, infatti, possono essere modificate.

La seconda fa riferimento a valori assoluti, che dovrebbero caratterizzare l’animo umano: il rispetto, la pietà, la solidarietà, l’amore, l’uguaglianza. Nel nostro percorso questi aspetti sono rappresentati dalle figure femminili.

Ovviamente, la Legge e la Giustizia dovrebbero coincidere, perché, comunque la finalità di chi governa dovrebbe essere quello di realizzare il bene comune.

La realizzazione del bene comune, è sempre stato al centro del dibattito politico, in quanto, in diverse forme, in ogni epoca questo è stato l’obiettivo delle menti più aperte e sensibili.

Il concetto di bene comune è stato individuato, con una felice intuizione, come ricerca della Felicità.

La Felicità, come diritto fondamentale della Costituzione degli Stati Uniti d’America, è stato un concetto elaborato e proposto dal filosofo Thomas Jefferson.

Egli credeva che lo Stato dovesse garantire ai cittadini la Felicità. Tale termine, tuttavia, non è stato definito in modo preciso ed il suo inserimento nella costituzione americana voleva confermare l’impegno dello Stato nei confronti del benessere dei cittadini.

È certamente apprezzabile tale l’obiettivo, che ha un forte carica idealistica, ma che ignora la realtà, e non individua chi e per quali motivi è impedito all’Uomo d raggiungere la felicità.

In modo molto più concreto, sul tema è intervenuta la Costituzione Italiana che, all’art 3, così proclama:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Questo primo comma definisce il primario elemento per raggiungere la felicità che è la conferma della Dignità Sociale. 

Questo concetto si realizza con l’affermazione che tutti i cittadini sono uguali davanti alla Legge e non vi possono essere elementi di discriminazione e di differenze.

Tuttavia, i padri costituenti erano ben consapevoli che, nella realtà, ciò non era attuato. Erano ben consci delle ingiustizie sociali imperanti che, di fatto, ledevano il principio della pari dignità sociale.

Seguendo il nostro ragionamento la Legge, non necessariamente coincideva con il concetto di Giustizia.

Ma la nostra Costituzione non si ferma, come quella americana, a limitarsi ad enunciare un principio, ma consapevole della realtà al secondo comma dello stesso Articolo 3 proclama:

“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Con una incredibile lungimiranza, i Costituenti hanno dato la definizione della felicità, facendola coincidere con il pieno sviluppo della persona umana.

Infine, l’impegno solenne, tassativa, che la Repubblica Deve rimuovere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento di tale obiettivo.

Tutti i cittadini devono effettivamente partecipare all’organizzazione politica economica e sociale del Paese.

Sono principi di altissimo valore civile e sociale e perché, nel dare atto che la conclamata pari dignità sociale non è acquisita impegna la Repubblica ad eliminare i correlati ostacoli.

Ora possiamo vedere quel fine comune che accomuna le nostre tre storie, e questo filo è costituito dalla ricerca della pari dignità sociale.

Antigone, nella pretesa della degna sepoltura per il fratello, faceva appello alla Pietà che deve, comunque guidare ogni azione umana.

Medea, nel suo viaggio verso la civiltà, ha preteso il rispetto per i giuramenti effettuati ed il riconoscimento dell’azione da lei attuate per puro amore.

Ifigenia, nella sua drammatica metamorfosi, chiedeva il rispetto per il ruolo della famiglia e dei suoi valori primari.

Le ingiustizie ci sono sempre state e, presumibilmente sempre ci saranno, ma il percorso dell’Uomo è quello di prenderne coscienza e attivarsi per attuare il principio della Costituzione Italiana, sopra indicata.

Realisticamente è abbastanza agevole rilevare che queste riflessioni si traducono in UTOPIA, in quanto il Potere cercherà sempre, di tutelare sé stesso e la felicità, dei cittadini viene sostituita dalla felicità di chi detiene il potere.

La logica conseguenza di questo ragionamento è che sempre ci sarà il confronto civile-sociale, perché le diseguaglianze non potranno mai essere abbattute.

L’unica forma del pensiero umano per raggiungere tale obiettivo è, appunto, l’Utopia, che ti permette di avere una visione ampia e storica del percorso umano e che, anche se non si realizzano gli obiettivi nel breve periodo, avviano il percorso del mutamento.

Le prime forme di Utopia sono nelle Metamorfosi di Ovidio, quando ci parla dell’Età dell’Oro e sorprendentemente negli i Atti degli Apostoli (Capitolo 4 34-37)

Poiché non vi era alcun bisognoso fra loro;

perché tutti colori che possedevano poderi o case

lì vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute

e lo mettevano ai piedi degli Apostoli, poi era distribuito a ciascuno,

secondo il bisogno.

Ora Giuseppe, soprannominato dagli Apostoli Barnaba,

levita, cipriota di nascita,

avendo un campo, lo vendé e portò o denari

e li mise ai piedi degli Apostoli

Questo il messaggio che il mondo pagano e quello cristiano ci mandano: dobbiamo fare nascere l’Uomo Nuovo che sappia riprendere i valori universali della vita.

Quei valori che Antigone, Medea e Ifigenia ci hanno consegnato.

Medea con i suoi figli morti fugge da Corinto su un carro trainato dai draghi, Germàn D. Hernàndez Amores, Museo Nacional del Prado, Madrid

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