Palermo, 24 maggio: parlare di mafia in strada, 33 anni dopo

da | 27 Maggio 2025 | Attualità, Eventi, Libri

Passeggiando lungo via Vittorio Emanuele, il giorno dopo la commemorazione della strage di Capaci, ci si può imbattere in qualcosa che 33 anni fa sarebbe stato impensabile: un dibattito sulla mafia, all’aperto, nel cuore della città, tra passanti, turisti, voci di mercato.

Lì, davanti alla “Libreria Zacco”, un piccolo gruppo di persone era raccolto intorno a tre uomini che parlavano di memoria, di giustizia, di mafia. Nessun palco, solo sedie, parole, attenzione.

L’incontro, organizzato da “La via dei Librai”, si è svolto alla presenza di Antonello Cracolici, presidente della Commissione Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana, del sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione Antonio Balsamo, e del presidente della sezione di controllo della Corte dei Conti, Salvatore Pilato. A moderare, il giornalista Roberto Greco.

Antonello Cracolici_Antonio Balsamo_Salvatore Pilato

Cracolici ha aperto una riflessione chiara: oggi si può parlare di mafia pubblicamente, ma non per questo ci si deve illudere che la mafia non ci sia più. Anzi, proprio questa apparente tranquillità può diventare pericolosa. Perché se non ci sono più le stragi, c’è chi crede che si possa abbassare la guardia. Eppure, ha sottolineato Cracolici, basta guardarsi attorno per capire che non è così: “Possiamo davvero pensare che in quartieri come l’Albergheria, lo Sperone, lo Zen, e proprio qui a Ballarò, dove lo spaccio di droga è così evidente, tutto questo avvenga senza il controllo diretto o indiretto delle famiglie mafiose?”.  La mafia, ha spiegato, oggi continua a finanziare il proprio potere con altre forme di controllo, meno visibili, ma non per questo meno presenti. E quando la criminalità appare come “normalità”, il rischio è che venga anche accettata come tale. È qui che la memoria diventa fondamentale. Nel corso dell’incontro si è parlato anche di come sia cambiata, nel tempo, la percezione collettiva delle vittime di mafia. Cracolici ha ricordato che per molto tempo, di fronte a un omicidio, la reazione comune era: “Sapi nzoccu fici”, (chissà cosa aveva fatto). Un modo di pensare che finiva col giustificare la violenza mafiosa. È dopo l’uccisione di Dalla Chiesa che cambia tutto: da quel momento, le morti iniziano ad avere un altro significato. Non più punizioni per colpe presunte, ma eliminazioni preventive contro chi voleva cambiare le cose.

Antonio Balsamo, durante il suo intervento, ha citato una frase di sant’Agostino: “I nostri tempi siamo noi.” Un richiamo forte alla responsabilità collettiva. I tempi che viviamo non dipendono solo dalle condizioni esterne, ma da come li attraversiamo, da cosa scegliamo di fare o di non fare. E poi c’è il calendario di Palermo, quello che – come ha ricordato Cracolici – “non è fatto di santi ma di nomi di vittime. Ogni giorno dell’anno, in Sicilia, corrisponde a una morte ammazzata, a una ferita, a una storia”. Una città che ha costruito la propria coscienza civile su queste date non può permettersi di dimenticare.

Oggi Palermo è vista anche come un simbolo positivo. Ma non è un simbolo garantito, e non lo sarà mai se si smette di parlarne, di ascoltare, di agire. Se passa l’idea che la mafia non è più un problema, anche l’antimafia rischia di essere percepita come inutile. E questo – è stato detto con forza – sarebbe come uccidere di nuovo Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.

Parlare in strada, pubblicamente, senza paura, è un gesto politico, culturale, umano. Finché ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare, ci sarà memoria. E finché ci sarà memoria, Palermo continuerà a scegliere da che parte stare.

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