L’Obelisco di Dogali: la ferita che sfiora il sole

da | 05 Maggio 2025 | Attualità, Libri

di Franca Spagnolo

Ogni monumento di Roma è una porta che si apre sul respiro dell’eternità.

Roma è un luogo dove passato e presente si intrecciano in un abbraccio fatto non solo di ruderi, monumenti e scorci di eternità, ma anche di energia e spirito. Camminando per le strade, si ha la percezione di respirare un microcosmo in cui il visibile sfiora l’invisibile, il terreno si specchia nel divino. Se pensate che la Capitale sia solo arte, vi sbagliate. Roma è molto di più…custodisce segreti in piena vista, monoliti che si ergono come testimoni silenziosi di storie dimenticate. L’Obelisco di Dogali è uno di questi.

Situato in viale Luigi Einaudi, nei pressi delle Terme di Diocleziano, il monolite sembra voler toccare il sole, quasi a cercare un contatto con Dio.  Eppure, sotto la sua imponenza, vibra un’ombra di dolore.

L’obelisco egizio, risale al regno di Ramses II, fu portato a Roma in epoca imperiale. La sua provenienza è Heliopolis, terra sacra del culto solare. Venne scoperto nel XIX secolo e dedicato ai caduti della battaglia di Dogali, in ricordo dei cinquecento soldati italiani caduti in Eritrea (1887).

L’obelisco di Dogali non è solo lutto. Chi sa guardare oltre la storia ufficiale, può scorgere un’altra verità. Gli antichi egizi lo concepivano come un ponte tra il terreno e il divino, un canale di energia cosmica. In questa prospettiva, l’obelisco di Dogali, è molto più di un memoriale: è un ago di pietra che cuce le dimensioni di tempo e spazio, un portale immobile tra ciò che è stato e ciò che ancora può essere. Forse è per questo che la sua vista provoca smarrimento. La sua altezza destabilizza, quasi obbliga a perdersi nel cielo dove il tempo riflette luci di infinite verità. Ma chi si lascia attraversare dalla sua presenza avverte qualcosa di più: un senso di trasformazione, di rinascita.

Il monolite sussurra ai cuori disposti a tremare. Non parla solo di pietra o di gloria spezzata: parla di uomini dimenticati dal tempo, inghiottiti da sabbie lontane, che in vita avevano nomi, sogni, madri, promesse. In quel silenzio verticale c’è il grido muto di chi non è tornato. Lì, sotto la superficie liscia del granito, vibra un dolore antico che non chiede vendetta, ma memoria.

Chi si ferma e lo guarda davvero, sente qualcosa muoversi dentro: un nodo, una vertigine, la struggente consapevolezza che ogni civiltà poggia le sue fondamenta su ciò che è stato perduto. Il monumento è lì per ricordarci che anche il dolore, se ascoltato, si fa preghiera. Che forse, solo riconoscendo ciò che ci spezza, possiamo davvero ricominciare.

Roma è così, raccoglie le macerie, le riscrive, le trasfigura. E il sole ogni giorno, torna a sfiorare ciò che rimane del passato, come se sapesse che anche le ferite possono diventare luce.

Se siete pronti a scoprire il segreto che lega la terra al cielo, fermatevi. Lasciatevi attraversare dal suo respiro e sfiorate l’Invisibile, visitando l’Obelisco Dogali.

Namasté

Franca Spagnolo

Franca Spagnolo

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