Quando il teologo ed educatore Thomas Arnold (1795-1842), fondò la pedagogia sportiva, intesa come una sorta di strumento con il fine di “educare divertendo”, su ispirazione del barone De Coubertin, (considerato come il promulgatore dell’idea sportiva, che avrebbe trovato la sua massima realizzazione nei giochi olimpici), non sapeva che avrebbe dato l’avvio ad una nuova forma di educazione.
Educare, da “educere”, ovvero tirar fuori, guidare, attraverso cui si costruisce, si forma una persona.
Ed effettivamente, l’obiettivo dello sport di Thomas Arnold, era proprio quello di abituare il corpo dei ragazzi a sopportare le varie criticità, temperandone in questo modo oltre il fisico, anche il loro carattere, in modo da preparare i suoi allievi a diventare uomini con un carattere vincente, in quanto la competizione, quella “sana”, aiuta ad abituarsi e quindi a reagire alle varie frustrazioni che derivano dall’insuccesso per una determinata impresa. L’ uomo è stato sempre accompagnato dalla competizione fin dalle sue prime origini: per la sopravvivenza, per la riproduzione, per il cibo, per ogni cosa.
Lo sport rappresenta sicuramente uno strumento educativo che mediante l’impegno costante e la pratica, può insegnare l’importanza della disciplina, della sfida e dell’amicizia, necessaria non solo nella competizione agonistica, ma anche e soprattutto, per insegnare ad affrontare le sfide continue che ci propone la vita. Imparare ad apprezzare il senso di ogni minima fatica che richiede impegno, per lo sport equivale a temperare il carattere di ogni atleta e a forgiarlo in modo tale da misurare le proprie attitudini e potenzialità al fine di raggiungere determinati traguardi prefissati.
Ogni cosa ha un prezzo, un sacrificio, infatti, se il maratoneta ha l’obiettivo di partecipare ad una gara, dovrà allenarsi per mesi o addirittura per anni, al fine di abituare il proprio fisico a sopportare la fatica della corsa, il sudore, il consumo di energia.
La stessa cosa accade nella vita di tutti i giorni, quando ci mettiamo alla prova per ottenere un lavoro, un titolo di studio, per superare una prova d’esame o, semplicemente, per vivere una relazione di coppia o di amicizia. Lo sanno bene i tanti atleti, diventati campioni ciascuno nelle proprie discipline, come: Nadia Comaneci, Dick Fosbury, Mark Spitz, Jesse Owens, Pietro Mennea, Usain Bolt, Carl Lewis, Federica Pellegrini, Valentina Vezzali e tantissimi altri.
L’agonismo nello sport, come nella vita, può considerarsi l’anima delle cose, senza ovviamente, esagerare, perché il suo eccesso potrebbe rovinarlo.
Ai giovani occorre insegnare, attraverso lo sport, a combattere onestamente, con lealtà e sacrificio e a non cedere all’arroganza e, anche se a volte le gare si perdono, questo deve insegnare che da ogni sconfitta ci si deve sempre rialzare con umiltà e ricominciare a gareggiare meglio di prima, senza mai arrendersi. Per questo esistono le maratone come quella di New York, che si svolge proprio nel mese di novembre di ogni anno e che raccoglie centinaia e centinaia di atleti provenienti da ogni parte del mondo, la maratona di Boston, Chicago, Berlino, Londra, Tokyo.
Così come esistono le Olimpiadi, il complesso di competizioni sportive internazionali che si svolgono ogni quattro anni.
E tante altre manifestazioni legate allo sport, come quella che è avvenuta qualche giorno fa nella città di Pescara, nella seconda edizione di “PESGARA per la legalità”, in cui centinaia di persone si sono ritrovate sia per una gara podistica che ha richiamato numerosi atleti, sia per la passeggiata non competitiva per le vie del centro della città, in cui hanno aderito numerose personalità. Il termine “sport” è apparso agli inizi del 1500 e trae origine da una parola inglese “divertimento” e da un’abbreviazione del termine francese “desport”, ovvero “diporto”, svago, divertimento.
Del resto, nell’antica Grecia, lo sport, rappresentava lo strumento per rendere più solenni i loro riti religiosi, glorificando gli dei, in modo da creare un’occasione simbolica per accostare gli atleti alle loro divinità. È dalle olimpiadi greche che traggono origine le profonde radici dell’agonismo, volto ad identificare i valori originari ed i contenuti ideali racchiusi nella competizione di qualsiasi gioco.
A volte si perde ed altre volte si vince ed è proprio questo il senso della vita, perché è attraverso lo sport che noi impariamo ad affrontare con coraggio e determinazione gli ostacoli che la vita stessa ci presenta ogni giorno.
Perché crescendo nella sofferenza, nel sacrificio, nell’umiltà, possiamo raggiungere la consapevolezza che tutto è possibile se ci si impegna con assidua volontà. Il gioco corretto, leale, non significa solo stare “alle regole”, ma significa che proprio grazie a quelle “regole”, e, soprattutto, rispettandole, è possibile mettersi nelle condizioni di conseguire ciò che ci sta veramente a cuore e come diceva il grande Pasolini: “Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo….”. Ecco, questo è il vero senso dello sport, questo è il vero senso della vita.
Aurora d’Errico